La storia di Ted Lee Fisher (1 di 3)
Bangkok, 19 febbraio 2017
Sono qui che aspetto, seduto alla scrivania della camera d’albergo che ho preso in affitto di fretta e furia solo poche ore fa.
Ho impiegato qualche ora per raggiungere Bangkok ed ora sono a pochi metri dal luogo dove si terrà il grande appuntamento di domani, alle ore 9,00 di mattina.
Ho saputo solo all’ultimo minuto che Ted Lee Fisher avrebbe accettato la mia richiesta di intervistarlo. Domani mattina sarò davanti ad uno dei più grandi trader ancora viventi del nostro tempo e voglio essere impeccabile.
Quando ho lasciato l’Italia tra fine 2015 ed inizio 2016 non avrei mai immaginato che qui nel sud est Asiatico la vita mi avrebbe dato l’opportunità di trovarmi faccia a faccia con una persona che ha cominciato la sua carriera comprando oro intorno ai 100$ oncia nell’Agosto del 1976, esattamente qualche istante prima che il mercato partisse per un rialzo del +700% che ha segnato un pezzo di storia dei mercati finanziari.
«Se questo è il suo biglietto da visita, chissà quante cose potrà insegnarmi… », pensavo tra me e me, mentre preparavo scrupolosamente le domande che avrei voluto fargli durante l’intervista del giorno dopo.
Quella notte sono riuscito a dormire poche ore. Verso le 6 di mattina ero già sveglio.
Per sbollire la tensione sveglio Ornella e insieme a lei esco dalla stanza, raggiungo il terrazzo all’ultimo piano dell’albergo, mando all’aria la maglia e faccio un gran tuffo in piscina.
Esco con la testa fuori dall’acqua e mi guardo intorno.
«Wow, che meraviglia», gli immensi grattacieli di Bangkok sovrastavano tutto intorno. Era uno spettacolo e ricordo di aver tirato dei forti respiri, come a voler far entrare nei polmoni ogni attimo di quell’istante.
L’aria era frizzante, la notte aveva appena salutato la città e il Sole cominciava a farsi spazio fra i viali dei grandi grattacieli.
Dopo una veloce doccia mi accingo a fare una corposa colazione mentre revisiono per l’ultima volta una ad una le domande che ho preparato per Ted. Ci siamo, è il gran giorno.
Scendo dal mio albergo e mi dirigo al luogo dell’appuntamento con Ted.
«Ok, ci sono. Ora non mi resta da far altro che attendere che Ted arrivi. »
Passano alcuni minuti e di Ted neanche l’ombra.
5, 10 poi 15 minuti, comincio a pensare che Ted mi abbia burlato.
«Ecco, lo sapevo. Figurati se Ted Lee avesse mai potuto dare ascolto a te, un giovane investitore di 31 anni venuto da una sperduta cittadina della provincia di Napoli. »
«Prima di poter arrivare al cospetto di una persona con la sua esperienza ne hai di acqua da far passare sotto i ponti», pensai nell’attimo di maggior sconforto.
Poi ad un tratto ricevo un sms. È Ted!
Mi chiede di proseguire ancora di qualche metro, di entrare in uno degli hotel più belli e imponenti che io avessi mai visto a Bangkok e di chiedere alla reception il suo numero di stanza.
Non faccio in tempo nel rimettere il telefono in tasca che sono già nella hall dell’albergo.
«Prego, desidera? »
Sono ospite di Ted Lee, alla stanza numero 357 (non ricordo precisamente il numero).
«Prego signore, si accomodi. Ted Lee la sta aspettando.»
Salgo a piedi per sbollire un po’ di tensione, poi arrivo sul piano dove era situata la camera di Ted.
«Ecco, ci sono. Ora busserò a questa porta e finalmente avrò la possibilità di parlare con Ted. Ho tante domande da fargli e l’intenso desiderio di portare la mia preparazione sugli investimenti ad un livello successivo. »
Tutto ciò che accade da questo momento in poi è trascritto nell’intervista che abbiamo tradotto per te in 3 diversi articoli (grazie per il gran lavoro Lorenzo). L’intervista andò alla grande e durò circa 2 ore.
Ted mi aveva accolto nel salottino della suite in cui aveva alloggiato quella notte, con due bei divani che si disponevano a semi-quadrato intorno ad un tavolino di vetro, con la tv appesa al muro proiettata sulle news che arrivavano dalla CNBC.
Lunedì 20 Febbraio 2017, Bangkok, Thailandia
Roy Reale:
Ci siamo Ted, è un grande onore per me essere qui oggi. Ti sono grato per questa intervista e mi auguro che altrettanto sarà per tutti i miei connazionali quando la leggeranno.
Procedo dritto con la prima domanda: ho fatto delle ricerche su Google e a parte pochissime informazioni in lingua inglese, trovo inconcepibile il fatto di non aver trovato alcun risultato che parlasse di Ted Lee Fisher.
Credo sia giunto il momento di portare a conoscenza del pubblico italiano il tortuoso percorso che hai affrontato come trader e come investitore.
Da dove è cominciato tutto? Qual è la tua storia?
Ted Lee Fisher:
Beh, alcune di queste informazioni sono già di pubblico dominio, ma in pochi sanno del mio periodo universitario presso l’Università del Michigan, che iniziai nel 1966, e delle tematiche di cui mi interessai in quei primi anni.
Di tutte queste materie, quelle che attirarono la mia attenzione furono sicuramente Economia e Storia.
A quei tempi, in America, si avevano grandi sollevazioni popolari, tra i quali risaltavano i movimenti sulla libertà di espressione a Berkley ed il movimento pacifista della mia università.
Fu l’Università del Michigan la prima ad impartire insegnamenti in lingua vietnamita e la prima ad organizzare manifestazioni di denuncia della guerra del Vietnam.
Tutto questo accadde durante il mio primo anno di studi e, senza dubbio, influenzò molto le mie attività scolastiche.
Accogliere a braccia aperte la Rivoluzione Culturale che prese piede negli USA mi aiutò ad ampliare i miei orizzonti ed a stimolare il mio senso critico che, successivamente, applicai nei miei studi.
Divenni ciò che in Thailandia chiamano ‘il ragazzo dei perché’ e lo rimasi per tutta la vita.
Roy Reale:
Ragazzo dei perché?
Ted Lee Fisher:
Già. Proprio come un ragazzino che a scuola non fa altro che chiedere: Perché?
«Perché questo? Perché quello?», «Perché andare a scuola la Domenica?»
Frequentavo una scuola di forte stampo religioso e, in tutta sincerità, quello non era certo il luogo più adatto dove porsi delle domande.
L’insegnante mi diceva: siediti! Ed io: «Perché?».
Sentivo un bisogno di sapere il perché, quasi insolente.
Insomma, chiedersi il perché delle cose, divenne ben presto una costante del mio personale approccio agli studi.
Giunto al termine dei miei studi, il relatore mi riferì che la Facoltà di Economia non aveva alcun interesse nel mettere in discussione il suo modello d’insegnamento, né tanto meno le materie che lo costituivano.
Non cambiò idea nemmeno quando lo bacchettai dicendo che il modello dell’Universo che ci si ostinava a proporre nei corsi dell’Università, era stato confutato e rimpiazzato dalla concezione di Universo proposta da Einstein.
O che la comprensione delle dinamiche comportamentali dell’essere umano erano state rivoluzionate dal pensiero Freudiano, e che Jung le aveva ulteriormente sviscerate.
Ma fu molto gentile: si mise all’opera per farmi trasferire dalla Facoltà di Economia ad uno speciale programma multidisciplinare che l’Università del Michigan stava sperimentando.
Divenne mio tutor magistrale un uomo che rispondeva al nome di Prof. Dave Angus.
Era una persona di eccezionale intelletto, appassionatissimo del pensiero di Camus: sulle idee del filosofo francese realizzò la sua tesi di dottorato e finì con l’abbracciare una visione esistenzialista del mondo.
Quella di Angus, però, era una mente acuta: infatti si servì del modello esistenziale sviluppato da Camus per i suoi scopi.
Uno di questi, per fare un esempio, è stato il vivisezionare la retorica che si annidava dietro i modelli socio-economici più studiati dell’epoca che spaziavano dallo studio dei processi lungo le linee di produzione delle industrie, alle falle nel sistema socialista.
Passai un periodo meravigliosamente fervido ed accadde che proprio nel periodo in cui ottenni la mia laurea magistrale, il presidente Nixon decretò l’insolvenza del dollaro statunitense.
Era il 1972.
A partire dal 1976 ai cittadini statunitensi fu di nuovo accordato il diritto di possedere oro fisico.
Quello che nacque dalle ceneri dalla svalutazione del dollaro fu un nuovo sistema valutario internazionale che si fondava sul valore relativo (vis-à-vis) delle valute.
Il dollaro continuò ad essere trattato come la valuta di riserva globale ma non era più garantita da un valore intrinseco. Eravamo entrati in un sistema valutario completamente cartaceo.
A quel punto nel mio database avevo dati storici a sufficienza per capire cosa significasse; quindi continuai i miei studi accademici per altri tre anni, passando le valutazioni preliminari per accedere al PhD nel ’74.
Nel ’75 viaggiai per l’Europa in lungo ed in largo e quando tornai a casa per rimediare i fondi necessari alle mie ricerche di tesi, seppi che Nixon aveva tagliato qualsiasi genere di risorsa pubblica per quel particolare tipo di ricerca che intendevo fare… erano tempi duri.
Erano anche tempi di transizione: stavo per cominciare a lavorare come lobbysta a Washington per un’azienda quotata sul Fortune 500.
Secondo loro, la mia educazione, la mia precedente esperienza presso la Ann Arbor ed il mio curriculum, suggerivano che il mio profilo fosse quello del perfetto oratore, in grado di parlare di politica al grande pubblico.
Ero in attesa che la catena di comando dell’azienda approvasse la mia assunzione quando, mentre guardavo una partita di basket col fratello della mia ragazza, lui balzò in piedi, si mise nuovamente a sedere e cominciò a parlare a raffica.
Mi chiese cosa stessi facendo. Ed io gli risposi.
Al chè, lui replicò: «Cosa? Sei completamente pazzo! Dovresti venire a fare un salto nel mio ufficio, domani mattina! »
Saltò fuori che il fratello della mia ragazza altri non era che un broker di materie prime. Andai a trovarlo il giorno dopo.
Era l’agosto del 1976. Avevo vinto un bel pò di borse di studio nel corso dei miei anni passati in Università.
La più importante di queste mi investì del titolo di Rackham Fellow.
Non si può fare domanda di iscrizione per questa nomina: sono i professori che ogni anno, in gran segreto, propongono i nominativi di tre fortunati studenti a cui viene concessa, assieme ad una cattedra nel loro dipartimento, anche uno stipendio niente male.
Grazie a questa investitura, al contrario di quanto accade ai normali studenti universitari, al mio secondo o terzo anno di studio non solo avevo abbastanza per mantenermi, ma ero riuscito a mettere da parte una bella sommetta.
Con quel denaro penso che chiunque avrebbe potuto comprarsi una Corvette.
Non solo, venivo pagato anche come insegnante.
Perciò, come dicevo, nell’agosto 1976 andai nell’ufficio di questo broker e vidi l’oro essere scambiato a 101.50 dollari per ben 3 volte nelle prime 4 ore di mercato aperto.
Continuò a rimbalzare contro questa resistenza.
Ebbi una sensazione molto positiva all’idea di acquistarne un pò.
Solo nove mesi prima, giusto per rinfrescarci la memoria, gli USA avevano ri-legalizzato il possesso di oro fisico da parte dei loro cittadini e, cogliendo la palla al balzo, gli Europei – comprando con l’intenzione di rivenderlo alla rediviva domanda statunitense – pomparono il prezzo fino a quota 200 dollari l’oncia.
Nel giro di un anno e mezzo lo fecero scendere del 50%, proprio a quota 101.50 dollari l’oncia.
Roy Reale:
Tempismo perfetto!
Ted Lee Fisher:
Già. Una vera fortuna.
Poi, giusto per dar pace alla mia paranoia di non credere alle coincidenze, acquistai una manciata di oro finanziario. Ed alcuni giorni dopo, rinforzai la posizione comprando argento.
E l’oro salì. Come lo stesso fece l’argento.
Da quel momento io e quel broker facemmo squadra. Ci trasferimmo a Palm Beach, in Florida ed aprimmo un ufficietto sulla Brazilian Avenue, negli stessi locali che Jesse Livermore aveva occupato 40 o 50 anni prima.
Cominciammo ad operare sul mercato.
Ed ancora, con una fortuna sfacciata, conobbi un uomo sulla settantina, che viveva nella cittadina di Boca Raton e che passava le sue giornate giocando a golf.
Noto all’anagrafe come J.T. McKerr, altri non era che il miglior trader di grano che avesse mai operato sul mercato di Chicago.
Fu lui il mio primo mentore, perché gli unici derivati esistenti all’epoca non avevano altro sottostante che sementi, uova o bacon.
Non c’erano futures per oro, né per argento, né per valute; non esisteva nulla di tutto ciò.
Pensateci un attimo.
L’intero mercato delle opzioni, non esisteva.
Tutto ciò che avevo appreso sul trading lo avevo imparato da auto-didatta, ma ciò che imparai all’università fu l’abitudine all’analisi ed alla ricerca rigorose.
Definii miei modelli macro-economici, poiché nutrivo un interesse sempre crescente nei cicli economici. Avevo letto Schumpeter ed i lavori di parecchi altri autori e mi ero fatto l’idea che vi fossero delle ciclicità in ambito economico.
Al passare dei mesi sentii che Palm Beach era inappropriata per continuare a condurre gli affari.
Volevo entrare nella tana del lupo.
Chiesi a McKerr cosa ne pensasse e mi appoggiò. Mi disse che, una volta giunto a Chicago, avrei fatto bene ad incontrarmi con una persona, un certo Freddy Brzozowski.
Ben presto venni a sapere che lo zio di Freddy lavorava per McKerr e che Freddy, fino a poco tempo prima, aveva guidato taxi per vivere e aveva svolto, per arrotondare, un lavoretto da galoppino nella fossa del Chicago Boards of Trades, rimediatogli dallo zio.
Tre settimane dopo, Freddy venne inviato nella fossa del mais a prendere nuovi ordini.
Uno dei broker gli si rivolse con epiteti talmente offensivi che Freddy ne uscì, buttò a terra la giacca e se ne andò, salendo sul primo treno diretto a sud della città.
Lì lo avrebbero aspettato due alternative: guidare un taxi o spaccarsi la schiena nelle acciaierie.
Fortunatamente, suo zio era sul treno successivo ed una volta ripreso, lo trascinò indietro per un orecchio, ributtandolo nella fossa.
Da quel momento tutto cambiò.
Freddy si diede un gran da fare: divenne un operatore di olio di semi di soia tanto influente che alla fine J.T. McKerr gli disse: «Dovresti pensare di aprire una clearing house tutta tua perché pagarmi tutte queste commissioni di brokeraggio è davvero da stupidi!»
Quando la soia raggiunse i 12 dollari, negli anni ’70, Freddy divenne intoccabile.
Grazie al suo contributo si poterono risanare i conti dei Chicago Bulls e con essi finanziare l’acquisto dei cartellini di coloro che formarono uno dei più celebri dream team della storia del basket americano. Tra loro, vi era anche un certo Michael Jordan. Ma queste non furono altro che innocenti distrazioni: il vero problema risiedeva nel fatto che Freddy difettava di una sufficiente educazione scolastica. Le superiori, infatti, non le aveva nemmeno frequentate.
Sedetti faccia a faccia con Freddy e, dopo che McKerr ebbe finito di aggiornarlo sui miei progetti, mi disse: «Allora, come vorresti procedere?»
«Voglio contattare tutti i CFO [Chief Financial Officer] delle aziende quotate in borsa e dei dealer di strumenti finanziari e convincerli ad usare i futures come strumento di protezione dal rischio di cambio», risposi.
Era la fine degli anni ’70. E dei progetti sugli scambi Euro-Dollaro non erano stati fatti nemmeno i disegnini.
Freddy, fumando avidamente, prese un paio di cuscini, si buttò sulla sedia e guardandomi mi disse: »Credo tu sia completamente fuori di testa. Ma ti vedo interessato a guidare un’agenzia, non far parte del reparto vendite. Hai il mio appoggio!»
Per due lunghi mesi martellai di telefonate chiunque potesse essere interessato. Senza successo.
No, dico, nemmeno per sbaglio.
Fino a quando, un giorno, contattai il Senior Dealer della Chase Manhattan Bank.
Mi disse: «Ho avuto a che fare con titoli governativi di ogni tipo per 27 anni. E non ho mai avuto bisogno di futures. Perchè mai dovrei darti retta? E soprattutto, ci sono sempre dieci o quindici persone fuori la porta del mio ufficio che tutti i santi giorni chiedono di vedermi. Ancora, perché dovrei darti retta? »
«Jack, in una chiamata da 2 minuti non posso rispondere ad una domanda del genere. Ma dammi un mese di tempo, fammi tradurre in formule tutte le tue sensazioni che hai sul mercato e Dio ci salvi se i miei modelli riusciranno a mostrarci una o due buone occasioni. Se poi mi dirai che non sono il tuo partner ideale con cui fare affari, non ti disturberò mai più.»
Aggiunsi un paio di epiteti per dare più enfasi alle mie parole.
Jack era di origini irlandesi, trader di terza generazione e sposato con una delle Merrill di Merrill & Lynch. Ancora oggi giurerei, dall’inflessione di quella voce roca da fumatore, che quelle parole avevano colto nel segno.
Tre mesi dopo, Jack Devine ammise che aveva accettato la mia sfida solo perché, in tutta la sua vita, mai era riuscito a vincere l’insistenza di un pedante venditore.
Tuttavia vinsi la scommessa e mi venne aperto un conto in qualità di primo broker di futures su titoli di stato della Chase Manhattan Bank.
Nei 27 anni trascorsi in qualità di Senior Dealer della Chase, in tanti affiancarono Jack e, di quelli che divennero suoi protetti, in molti fecero parecchia strada.
Allo stesso modo, una volta iniziato a fare affari con Jack, non spedii mai più un solo curriculum.
Anzi, cominciai a ricevere montagne di richieste: gli operatori commerciali della Manny Hanny, così come il direttore generale della Morgan Stanley, che ne gestisce il capitale di rischio, divennero tutti miei clienti.
Feci in modo che i miei servizi non fossero disponibili dietro pagamento di un abbonamento. Se volevi dare un’occhiata ai miei modelli e vedere ciò che io vedevo nel mercato, dovevi dirigere tutti i tuoi flussi di ordini in futures sulla mia scrivania.
Acquistai un certo prestigio, prima nel mercato dei futures sui buoni del Tesoro e poi quando il Merc [Chicago Mercantile Exchange] aprì alla contrattazione dei futures denominati in EUR-USD.
Mi spinsi ancora più in là e divenni membro del Merc. Ero presente nella fossa quando venne inaugurata la contrattazione di quei futures, ma non avevo idea che quella sarebbe diventata la più importante arena di hedging dei rischi di cambio del mondo intero.
Questa è, bene o male, la storia di come giunsi a Chicago e di come entrai a far parte del Merc. Il resto, si dipana su una time-line di 20 o 25 anni.
Roy Reale:
È un’esperienza meravigliosa Ted.
Ted Lee Fisher:
Fu memorabile. Una grande avventura.
Nulla era paragonabile allo stare dentro la fossa. E, per quanto mi riguarda, amavo scrivere la storia durante lo sviluppo di questi mercati, quando i miei ordini erano sempre troppo grandi per essere evasi.
Non scherzo.
Un operatore di titoli di stato operava normalmente con 10 milioni di dollari. Prendiamoli come fossero un’unità. Ma quella che veniva considerata una singola unità nel mercato dei titoli, ne rappresentava almeno mille sul corrispondente mercato dei futures. [ride]
Agli occhi di un trader di New York, un’operazione ordinaria nell’arena dei futures dell’EUR-USD era come osservare un marmocchio gattonare.
Roy Reale:
Quando i mercati relativi a questi contratti acquisirono maggior rilievo?
Ted Lee Fisher:
Cominciarono a maturare tra il 1985 ed il 1990.
Roy Reale:
Potremmo azzardarci ad affermare che, in fin dei conti, sei stato tu ad essere in un certo modo il creatore di questo mercato?
Ted Lee Fisher:
No, non l’ho creato io. C’erano molte menti brillanti che lo hanno fatto; in particolare: Richard Sandor, Fred Ardhiti, Leo Melamed, Brian Monieson, Jack Sandner, e come loro tanti altri. Quello che feci io non fu altro che contribuire alla loro liquidità.
Non avrei mai avuto successo se questi personaggi non avessero lavorato sodo per portare quei contratti sul mercato.
Tra l’altro, col tempo capii che avevo una naturale propensione a lavorare nella fossa: mi trovavo su una barca a vela con un mio amico – ho parecchia esperienza di navigazione – che ne era lo skipper.
Quel giorno aveva a che fare con gente che non era mai stata su una barca prima di allora, perciò voleva fare colpo su di loro facendogli provare la gioia dell’andare a vela cosìcché, magari, avrebbero comprato una barca ed assunto lui come skipper.
Aveva un’incredibile interesse personale a rendere quella veleggiata la più tranquilla possibile.
Eravamo a Fort Lauderdale, e, nel vedere quelle grosse onde che provenivano dall’Oceano Atlantico, lo skipper decise di prenderle al mascone.
Non conosceva molto bene il porto e finì col portarci dritti contro una scogliera. La barca era lì, piegata su un fianco, al di sopra degli scogli. Le onde arrivano una dopo l’altra…ed era solo questione di tempo prima che lo scafo iniziasse a cedere.
Mi arrampicai immediatamente sull’albero maestro e presi un verricello issando la vela maestra. Quando il vento la colpì nuovamente sospinse la barca lungo gli scogli per poi dirigerla verso acque più calme.
Questa esperienza mi permise di comprendere che la nostra percezione [di tutto quello che ci circonda], quando le cose si fanno difficili, rallenta.
«Issa! Issa! Issa!», stringiti all’albero maestro. Un’onda si infrange contro la barca. «Issa! Issa! Issa!», stringiti all’albero non appena un’altra onda s’infrange contro lo scafo.
Era esattamente lo stesso che accadeva in un giorno qualunque di mercato aperto.
Lì, nella fossa, avevamo un concetto che chiamavamo “the edge” che, in breve, non è altro che giocare coi differenziali dei tassi sui futures ad 1 mese ed a 1 anno, dimodoché si potessero fare facili profitti, con lo scenario peggiore di non farne.
Era come una partita a scacchi ma giocata su più livelli. Bastava infatti che qualche altro grande attore inserisse i suoi ordini per influenzare i differenziali e stoppare le nostre posizioni.
Bisognava mantenersi su di un filo, l’edge appunto; ed avevo un talento naturale nel percepire l’edge muoversi.
In effetti, ero presente in due luoghi: nella fossa, tra gli altri traders, e nei differenziali. Grazie ai miei modelli avevo sempre un’idea di come si sarebbero sviluppati i loro trend.
Roy Reale:
Al giorno d’oggi sono ancora possibili strategie del genere?
Ted Lee Fisher:
Sfortunatamente, no.
Perché le contrattazioni sono diventate elettroniche e non c’è più la ressa che una volta popolava le borse valori. Credo che qualcuno si sia ingelosito ed abbia voluto chiudere a chiunque le porte di questa ghiotta opportunità.
Oggi quando contratti per via informatica non senti più i galoppini correre da una sala all’altra, le urla, il frastuono della fossa.
Avrei potuto sedermi in quella riservata alla contrattazione dei futures sull’Eurodollaro e, nel contempo, sentire cosa accadeva in quella adiacente dedicata al Franco Svizzero.
Avrei potuto comprendere dai discorsi e dalle reazioni dei presenti, come la Banca Centrale Svizzera avesse potuto intervenire sul mercato. Se vi fossero stati interventi di politica monetaria da parte svizzera, allora il valore relativo del Franco Svizzero contro Dollaro sarebbe subito cambiato.
Ma le valute non vivono in un mondo a parte; tutto è collegato.
Ci sono differenziali d’interesse dappertutto: fra i depositi svizzeri e quelli statunitensi come anche fra quelli svizzeri e dozzine di altri. Ed ogni volta che vi è un cambiamento nel valore fra i tassi di cambio è matematico che ci sarà un corrispondente movimento negli altri mercati che andrà a controbilanciarlo.
Sullo schermo non senti, non vedi e non puoi sapere nulla di tutto questo. Non istantaneamente.
Roy Reale:
Per quanto tempo hai condotto operazioni nella fossa?
Ted Lee Fisher:
Vi rimasi per circa 20 anni.
Roy Reale:
E cosa accadde quando la chiusero?
Ted Lee Fisher:
Ah, chissà, oramai mi ero già ritirato a vita privata… in Thailandia [ride]…
I grandi Trader del nostro tempo: la storia di Ted Lee Fisher (fine prima parte)