La storia di Ted Lee Fisher (2 di 3)

Dopo una veloce doccia mi accingo a fare una corposa colazione mentre revisiono per l’ultima volta una ad una le domande che ho preparato per Ted. Ci siamo, è il gran giorno.

Scendo dal mio albergo e mi dirigo al luogo dell’appuntamento.

Ted mi aveva accolto nel salottino della suite in cui aveva alloggiato quella notte, con due bei divani che si disponevano a semi-quadrato intorno ad un tavolino di vetro, con la tv appesa al muro proiettata sulle news che arrivavano dalla CNBC.

I grandi trader del nostro tempo: Roy Reale intervista Ted Lee Fisher – seconda parte

Lunedì 20 Febbraio 2017, Bangkok, Thailandia

prosegue dalla prima parte

Roy Reale:

Dopo il conseguimento della laurea in economia avevi cominciato a studiare con attenzione i campi della sociologia, dell’antropologia, e, con interesse sempre crescente, anche di storia e filosofia. Come pensi questi studi abbiano influenzato la tua percezione dei mercati e, più in generale, la tua carriera?

Ted Lee Fisher:

Direi che lo studio degli aspetti socio-economici, dei comportamenti umani e della filosofia, mi ha permesso di interpretare ad un livello più avanzato il mondo in cui viviamo.

Grazie ad essi, poi, ho sviluppato numerosi interessi, trasversali a quelli accademici, tra cui spiccano per originalità i cicli economici e l’esoterismo. Le mie ricerche sui cicli economici si rivelarono presto utili nello sviluppare alcuni modelli che uso ancora oggi.

Nello studio della filosofia, concentrai i miei sforzi sulla dottrina orientale. Frequentai corsi di lingua avanzati che insistevano sull’analisi logico-strutturale dei testi originali di Vedismo, Induismo e Buddismo; ogni semestere, leggevamo le Vedie e ci esercitavamo nella loro comprensione. E a queste affiancai anche lo studio delle Upanishads induiste e quindi delle Sutre che sono buddiste.

Il tutto, contribuì alla formazione del mio pensiero analitico.

All’epoca, ed ancora oggi, chiunque voglia comprendere l’economia moderna ed i suoi cicli è bombardato, se non obbligato, a sposare la causa keynesiana o marxista.

Per quanto ne sappia, tutto ciò che vi è nell’universo è soggetto a cambiamento. Tutto ha una vita ed una morte ciclici, per conto proprio. Ed è tutta una questione di tempo.

Il capitale non fa eccezione. Il capitale si trasforma. Sei un produttore di lampadine ad incandescenza. Fai lampadine. Ma ad un certo punto il tuo prosperoso business viene sopraffatto dall’avanzamento tecnologico e quel tipo di struttura del capitale viene meno. È una questione di maturità e sostenibilità.

Vi racconto un aneddoto.

Mia madre era una donna molto acculturata, a cui era stata impartita un’educazione di grado molto elevato per i standard dell’epoca. Andava a teatro, per musei, insegnava e faceva la designer.

Un giorno, nei primi anni 2000, non seppe ritrovare la strada di casa dal negozio di ortofrutta. Si scoprì che in lei si stavano palesando i primi segni di demenza.

Dopo alcune ricerche, le trovai una sistemazione in una casa di cura di prima categoria. Nonostante fosse il meglio che avessi trovato, anche dopo esser trascorsi 6 mesi, constatai che le risultava difficile ambientarsi.

La sua salute peggiorava ed i dottori la riempivano di sedativi per calmarla.

Per puro caso, tra le mie conoscenze maturate studiando i testi buddisti, avevo amici coinvolti nella comunità medica thailandese che mi pregarono di portarla in Thailandia. Essendo io un tipo abituato a sguazzare nella caotica fossa della borsa valori di Chicago, la sola idea mi faceva sentire un pesce fuor d’acqua.

Giunsi a Bangkok e mi presentarono ad un dottore che teneva corsi di preparazione per tutti gli altri medici praticanti la medicina Thai sulla demenza e la cura dell’Alzheimer. Semplicemente, mi disse:

Tu ed io siamo collegati. Mia madre e la tua, sono la stessa persona.

Toccato nell’intimo come fui, tornai a casa, assunsi un’infermiera, due assistenti e trasferii mia madre a Bangkok dove, per poco meno di 3 mesi, visse presso l’ospedale internazionale di Bumrungrad.

I neurologi le tolsero tutte le medicine somministrate dalla medicina occidentale, compresi i sedativi. Mia madre migliorò tanto che fu lei stessa a proporre l’idea che avrebbe potuto vivere tranquillamente fuori dall’ospedale, a patto di avere un’infermiera a sua disposizione ad ogni ora del giorno.

Mi trasferii a Phuket e per lei fondai una casa di riposo privata.

Roy Reale:

Che anno correva la volta in cui vi trasferiste a Phuket?

Ted Lee Fisher:

Credo fosse il 2002, se ricordo bene.

Roy Reale:

Quindi hai salutato gli USA 15 anni fa?

Ted Lee Fisher:

Sì, qualcosa del genere.

In quel periodo ero una personalità di spicco nel mercato degli Eurodollari. Affidai i miei affari a coloro che mi circondavano. Per i primi 3 anni, andai avanti e indietro.

Cinque viaggi l’anno da 24 ore l’uno da porta a porta, sono incredibilmente pesanti. Per questo, fra il 2005 ed il 2007 liquidai tutto ciò che possedevo a Chicago.

Concomitante alla malattia di mia madre fu la decisione di trasformare il MERC da azienda privata a pubblica [quotata sul mercato].

La nostra quota d’iscrizione per il vecchio MERC divenne una IPO. Le nostre quote schizzarono da 100 a circa 700 dollari credo. Che non credo comunque fosse il giusto compenso per disfarsi del pass che apriva i tornelli d’accesso ad un luogo che poteva fruttare un lauto profitto ogni santo giorno. Fu una sorta di cornucopia per gli investitori.

Il passaggio da privato a pubblico distrusse l’atmosfera che tipicamente si respirava lì dentro. La scelta di sviluppare ed introdurre piattaforme di trading elettroniche venne fatta nell’interesse degli azionisti, che volevano ridurre i costi operativi e di personale, piuttosto che in quello dei suoi membri.

Infine, da membri paganti e, allo stesso tempo, cittadini di serie B, ci estinguemmo completamente.

Roy Reale:

Cambiando totalmente argomento, hai delle importanti raccomandazioni che daresti ai tantissimi principianti che ogni anno si avvicinano al mondo del trading? Se ne avessi l’occasione, cosa diresti loro?

Ted Lee Fisher:

Prima che chiunque inizi a fare del trading, è necessario che capisca due concetti fondamentali: diversificazione e rischio. O meglio: il vero significato che si cela dietro queste parole.

Il rischio non è solo impostare un ordine, eseguirlo e mettere a rischio un certo ammontare di euro. Questo non è rischio. È trading.

Il rischio è alla radice del mondo in cui viviamo, è una sua componente indissolubile.

Un esempio? Se fai una variazione dalla tua solita routine per, che so, aggiustare la cassetta delle lettere, dovrai scendere in strada.

Ma per valutare quanto ci sia da fare o il lavoro già fatto, ti scosterai all’indietro per qualche secondo giusto per ottenere una più soddisfacente visione d’insieme e, quei due o tre secondi, potrebbero coincidere con l’arrivo, in quella stessa strada, di un’auto che potrebbe investirti.

Il rischio, qui, non è di essere investito ma è insito nel decidere di aggiustare o meno la cassetta delle lettere.

Quindi, per operare sui mercati e per vivere efficientemente, hai bisogno di essere cosciente del fatto che aggiustare la cassetta delle lettere potrebbe portarti ad essere in pericolo. Senza la coscienza di sé non è possibile comprendere il rischio.

C’è bisogno di allenamento, soprattutto mentale. Allena a stabilizzare le emozioni, paura ed avidità per prime. Allenati a vedere oltre il tuo naso ed oltre le delusioni, tue ed altrui. Allena la tua mente a stare in silenzio. [si fa riferimento a principi del pensiero e della meditazione buddista]

Roy Reale:

Sono in tanti a credere che, per parlare di mercato, sia obbligatorio possedere specifiche capacità, come saper giostrarsi almeno tra i principi basilari dell’analisi tecnica. E quasi mai viene da pensare all’altra faccia della medaglia, quella relativa alle emozioni umane.

Non sono proprio quest’ultime le chiavi di volta dell’intero processo?

Ted Lee Fisher:

Certo. Se hai operato con un ordine per avidità, lo chiuderai per paura. Non è quello il modo di fare business. Dico “fare business”, perché il trading è uno dei tanti modi di fare affari. Di questo bisogna esserne consapevoli.

Il rischio è una componente della vita; e diversificare, è l’unico modo per attenuare i rischi. Ma la vasta maggioranza della gente tende a percepire la diversificazione – o viene spronata a considerarla – in un contesto davvero troppo riduttivo: diversificare il portafoglio stanziando il 20% del capitale a mia disposizione in titoli, il 50% in azioni e così via, non è vera diversificazione.

Se il vostro portafoglio diversificato è denominato tutto in una sola valuta, non sareste esposti al rischio monetario [svalutazione della moneta]?

E che dire del rischio di controparte? Questo portafoglio lo avete su un account di brokeraggio? A chi sono intestate le azioni di cui siete in possesso? A vostro nome o a quello del broker?

Il rischio di controparte porta poi a considerare l’esposizione che si ha al rischio di deposito.

Dove sono depositati i vostri averi? Sono affidati tutti ad un solo broker? Si trovano fisicamente tutti nella stessa nazione? Sono tutti soggetti alle stesse norme di legge? Ognuna di queste domande porta inevitabilmente all’unica domanda che conta:

Come posso attenuare l’esposizione a quel dato rischio?

Ma non è finita qui: c’è il rischio Paese, che, nelle sue varie declinazioni, porta in grembo il rischio politico.

Sono un cittadino italiano ed ho un passaporto italiano. Che cosa accadrebbe se l’Italia introducesse controlli sul capitale? Se il Governo negasse il diritto di espatrio ai titolari di questo passaporto e, quindi, gli vietasse di viaggiare? Come attenuerei questo rischio?

Le nostre vite sono formate da un condensato di strati di rischio, posti uno sull’altro. Ognuno di questi, deve essere individuato, analizzato e diversificato.

Sono un individuo, una persona in quanto tale. Cosa accadrebbe se il nuovo ordine mondiale [NWO] sopprimesse i diritti individuali a beneficio di quelli commerciali? Avresti la possibilità di affidarti alla protezione di un’azienda che ti rappresenti? Questa azienda è situata in un Paese in cui è forte il rispetto delle regole? E che ne è del rischio di deposito, di cambio, di valuta?

Ecco, e così si prosegue.

La parte fondamentale del discorso, quella che molta gente non comprende, è che, alle volte, il rischio più pericoloso di tutti è il non agire. Il non fare qualcosa. Essere e rimanere passivi.

Questo è il rischio maggiore. Perchè il mondo è soggetto a cambiamenti continui, anche drastici. E se tu non stai agendo, allora, ti stai adattando al cambiamento. Il tuo essere passivo, si accumula in modi impensabili. Semplicemente perché non sei sul pezzo, non sei coinvolto.

Roy Reale:

Sembra che tutti preferiscano guardare la TV, farsi le loro 8 ore giornaliere di lavoro e non pensare più di tanto ai loro averi e, come questi, a molti altri aspetti della propria vita, affidandosi alla corrente.

Ted Lee Fisher:

Ecco, chi non pensa, nemmeno lontanamente, a fare cose del genere, sono i ricchi. Non si assumono rischi inutili e fanno in modo di non impilarli uno sull’altro. Non gli è mai accaduto di correrne eccessivamente.

Nel loro caso, quando si detengono ingenti fortune, si ha a che fare con immensi trasferimenti di ricchezza e rischi che questa venga distrutta. Si ha necessità di mitigare questi rischi e, se si ha quel poco di senso della realtà, lo si fa appena se ne ha l’occasione.

Roy Reale:

Diversificare il rischio.

Penso che, per poter meglio diversificare, chiunque debba avere una più profonda conoscenza dell’ambiente circostante. Il mercato non è solo un ticker connesso ad un numero che va su o giù ma è provare a decifrare ciò che ci circonda e magari anticiparlo.

Essere al corrente di ciò che accade nei tempi in cui vivi. Aprire la mente e finalmente elaborare una tua versione dei fatti.

In una rara intervista in lingua inglese avevi dichiarato che: l’esperimento sociale a cui stiamo assistendo giungerebbe al termine nel giro dei prossimi anni. Come credi impatterà questo evento sui mercati?

Ted Lee Fisher:

Per meglio capire ciò a cui accennavo in quell’intervista, c’è bisogno di ripassare un po’ di storia americana.

Prima della rivoluzione, l’Inghilterra era governata da una monarchia assolutista. Il re aveva diritto di vita o di morte sui suoi sudditi ed i coloni americani non erano da meno.

Nemmeno il concetto di proprietà privata, esisteva.

Il re era libero di imporre tasse, tra cui le imposte di bollo, per cui ogni banconota, accordo commerciale o merce goduta dai coloni, doveva avere rappresentati su di essi la figura del re. Come? Per mezzo di soldati che venivano a bussare alla tua porta, dopo aver emesso un mandato di perquisizione.

Se avessero mai trovato scorte di cibo, liquore o qualsiasi altra cosa che avrebbero potuto portare via, l’avrebbero semplicemente presa. Era la normalità, un modo di fare business. Furono queste continue espropriazioni che costituirono il catalizzatore della rivoluzione americana e lo scontro armato che ne seguì.

Il risultato della rivoluzione furono il simposio di menti che discussero su come strutturare il futuro ordinamento della neonata nazione. Una di queste, che rispondeva al nome di Hamilton, aveva l’intenzione di incoronare George Washington per farne un nuovo re.

Per gli spiriti più avvenieristici, questa proposta non aveva senso: tutte quelle vite sacrificate [in nome di un più grande ideale] non sarebbero che morte invano se il risultato di un’intera rivoluzione sarebbe stata l’introduzione dello stesso modello adottato dalla monarchia inglese, [di cui ci si era appena liberati].

Un altro partecipante, di nome Jefferson, ed assieme ad altri presenti, promosse l’idea della sovranità individuale derivante dal puro fatto d’essere esseri umani. Un diritto inalienabile, non l’esecuzione di un ordine governativo.

È la gente che, [cosciente] della sua individualità e pertanto della sua sovranità, accorda al governo l’autorità che esso esercita sul popolo stesso il quale protegge e serve in nome dell’interesse comune. Questo pensiero prese il nome di Dichiarazione di Indipendenza.

Al congresso, difatti, in qualità di rappresentante della cittadinanza, è stato affidato il potere di tutelare quelle leggi che il Governo non dovesse rispettare, tutelando le libertà delle persone. Fu la libertà personale, l’importante concetto che venne incorporato nella Dichiarazione.

La Dichiarazione di indipendenza è il primo libro del codice legislativo degli Stati Uniti, ne costituisce il frontespizio. Quindi è parte delle norme di diritto statunitensi ed è lì collocate per far in modo che questa sia un’evidente verità.

Se la mia individualità deriva dalla mia umanità, allora io non sono sottomesso allo Stato, perché lo Stato è lì per servirmi. Da questa definizione di libertà, seguì la legittimizzazione della proprietà privata e di tutte le norme emanate a sua tutela che plasmarono gli Stati Uniti d’America.

Nel XIX secolo, dal 1812 al 1907, proprio in questo Paese si registrò un inaudito avanzamento tecnico ed economico. Con avanzamento tecnico ed economico, intendo il miglioramento della qualità della vita dell’individuo: il salario pro-capite, le tecnologie accessibili, i servizi, i mezzi di comunicazione. La costruzione della rete ferroviaria ed il telegrafo ne sono chiari esempi.

Per arrivarci si dovette attendere lo scoppio di sette bolle finanziarie e di una sanguinosa guerra civile fratricida.

Nel 1907 questa prosperità era ormai assicurata, nonostante la lunga diatriba provocata da Jefferson ed Hamilton riguardo al ruolo del Governo, al suo scopo, alle sue dimensioni, ai diritti individuali che avrebbe dovuto assicurare e via dicendo.

Ma nel 1913, ebbe luogo quello che ritengo un colpo di stato, in cui, silenziosamente, venne istituita per prima cosa una tassa federale sui redditi personali. In altre parole, si cominciò a confiscare la proprietà privata dei cittadini degli Stati Uniti a favore del Governo.

Roy Reale:

Non c’è qualche relazione con l’istituzione della Federal Reserve? Anche essa apparve nel 1913.

Ted Lee Fisher:

Certo, venne fondata anche la FED. Ma quella fu solo la seconda delle cose più importanti che accaddero. Quando confischi proprietà privata per mezzo di tasse sul reddito, è il governo a diventarne titolare primario.

La libertà che legittimizza la proprietà privata viene sottomessa al governo che ne dispone a suo piacimento. E nel caso si renda conto che non gli è di alcuna utilità, prima o poi te la restituisce [sotto forma di canali previdenziali]. Non è proprio quel che Jefferson intendeva.

Allo stesso modo, quando la FED fu istituita, ad un cartello privato venne data la possibilità di poter dirigere e gestire l’offerta di moneta [dell’intero sistema finanziario basato sul dollaro]. Insomma, l’intero sistema di credito.

Ancora una volta, all’individuo venne negata la possibilità di auto-gestirsi, venne privato della sua indipendenza, della possibilità di scambiare i propri beni con quelli altrui.

Questi due avvenimenti, crearono una nuova sovrastruttura. Che crebbe, diventando la causa principale delle crisi finanziarie da quel punto in avanti.

Nel 1919 si scatenò una recessione che poco viene sponsorizzata nei libri accademici, poiché non spiegata dai modelli economici sviluppati da Keynes.

All’epoca, il presidente Wilson, di ritorno da un dispendioso tour de force, ebbe un collasso. E tra questo evento ed il fatto che la FED era ancora in piena infanzia, non ci fu alcuna risposta governativa alla crisi.

Nessun programma a supporto della domanda, nessun bail-out.

Nel giro di cinque o sei mesi, dopo che un paio di banche si ritirarono dalla scena ed i bilanci furono ripuliti, la prosperità ritornò prepotentemente, sotto il nome de “I ruggenti anni ’20”.

Dal 1932 al 1934 Roosevelt confiscò altre proprietà. Ma questa volta, fece un salto di qualità: s’interessò all’oro fisico. E, subito dopo, svalutò il dollaro. Tutto ciò accadde sull’onda autoritaria che il governo cominciò a cavalcare a partire dalle azioni del 1913.

Lo Stato si sviluppò. Roosvelt divenne presidente, il PIL raggiunse cifre astronomiche. Fino a quando, durante la presidenza Nixon, vi fu una nuova corsa all’oro [dei Governi europei] presso la London Gold Pool [nota come “Gold Window”]. Nixon dichiarò default sul dollaro e lo svalutò [ponendo fine al sistema dei cambi di Bretton Woods].

Insomma, Roosevelt confiscò l’oro e svalutò il dollaro; mentre Nixon svalutò il dollaro ma ne ripristinò la proprietà. Questo default, creò un nuovo regime valutario fondato sui cambi flottanti [vis-à-vis] tra le varie valute cartacee [fiduciarie, fiat].

Quindi, dal 1913, passo dopo passo, sì costitui una super-struttura in cui il governo si rese più importante della proprietà privata, a difesa della quale, invece, era stato concepito. Di pari passo, è andata diminuendo anche la sovranità individuale.

La mia tesi consiste nel considerare questa sovrastruttura ormai più che matura: insostenibile, marcia sotto ogni aspetto. Marciume derivante dalla corruzione insita nel sistema capitalista, dalla costante repressione del libero mercato.

Roy Reale:

Hai idea di quando questa sovrastrutturà cederà?

Ted Lee Fisher:

Nessuna. Anche se avessi intenzione di dirti di sì, questa non è l’informazione più importante da acquisire; non più importante del capire che il sistema è vulnerabile.

Se lo comprendi, allora sei pronto per espandere le tue conoscenze sui rischi che corri come persona e quelli che corrono le tue ricchezze, sempre che tu ne abbia.

E, in caso non ne avessi, delle opportunità che ti aspettano lì fuori per crearne di nuova.

Se ti comporti passivamente e rimani semplicemente a guardare il sistema, in cui sei dentro fino al collo, allora stai esponendo il tuo capitale ed i tuoi beni al rischio di confisca. Confisca che verrebbe attuata attraverso il famigerato bail-in. O tramite l’inflazione. Dichiarando la bancarotta nazionale. Per mezzo della svalutazione della valuta cartacea.

Se il regime valutario attuale dovesse collassare, non stiamo parlando solo di insolvenza, ma di rischio sistemico.

A quel punto, non conta più in quale valuta sia espressa la propria ricchezza. Se l’avete suddivisa in più valute e sono tutte prive di valore intrinseco [di carta], allora il loro valore relativo collassa e distrugge ricchezza.

Di fronte ad una simile prospettiva, la soluzione più logica è sfuggire da questo sistema e farlo con tutto il malloppo.

Se detieni azioni, queste non dovrebbero essere intestate al tuo broker. Basterebbe fare una piccola modifica e girarle a tuo nome. E suggerirei anche di farvele spedire.

So già che state pensando quanto questa richiesta sembri strana, soprattutto nel caso in cui le si volesse vendere. Sarebbe un processo più complicato e più lungo ma sono noie di poco conto se confrontate con il default che vi attende dall’altra parte.

Allo stesso modo, se avete depositi in un’istituzione finanziaria, dovreste ritirarli e metterli in un’istituzione di deposito privata.

Prendetelo come un altro piccolo suggerimento…

 

I grandi Trader del nostro tempo: la storia di Ted Lee Fisher (fine seconda parte)